Cassazione penale, Sez. II, Sent. n. 2402 del 20-01-2021
La Corte di cassazione con la sentenza n. 2402/21 si è pronunciata in merito al delitto di cui al D. l. del 28 gennaio 2019, n. 4, art. 7 e convertito con l. n 26 del 2019, statuendo che tale delitto, in conformità al principio di diritto già seguito in precedenza dalla medesima Corte, è perpetrato in presenza di “false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, dei dati di fatto riportati nell'autodichiarazione ISEE finalizzata all'ottenimento del "reddito di cittadinanza, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio”.
A tal uopo, risulta utile sottolineare che la norma, in entrambe le fattispecie in essa previste, si pone come finalità la tutela dell’amministrazione dal rischio di danni che le potrebbero derivare dalle dichiarazioni mendaci e dalle omissioni sulla condizione patrimoniale da parte di quei soggetti che richiedono di avere accesso alle misure relative al “reddito di cittadinanza”. La norma, è orientata in una prospettiva di rispetto di quel principio di antielusività, in ossequio non solo alla capacità contributiva ex art. 53 Cost., ma anche del più generale principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Cost., fluendone, in tal modo, una lettura costituzionalmente orientata.
Ciò che deve indirizzare il cittadino, è il dovere di lealtà verso le istituzioni che concedono il beneficio, al di là del pericolo di profitto ingiusto. Quest’ultimo è l’aspetto che rende punibile ed imputabile il reato di condotta.
Inoltre, per quanto concerne la qualificazione giuridica del fatto, la Corte ha ritenuto che l’opzione interpretativa adottata dal tribunale sia da considerare conforme ai principi previsti in materia di distinzione tra art. 640 bis c.p. (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e art. 316 ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), in quanto il dato caratteristico della prima fattispecie di reato, va individuato nella condotta fraudolenta.
Difatti, “Il tribunale, risaltando la presenza degli elementi degli artifici e raggiri, dell'induzione in errore e dell'ingiusto profitto altrui ha, dunque, enucleato gli elementi costitutivi della truffa che - al contempo - fanno qualificare il fatto ai sensi dell'art. 640 bis c.p., in conformità al costante orientamento di questa Corte, che pone l'accento proprio sui connotati fraudolenti della condotta per distinguere tale ipotesi di reato da quella prevista dall'art. 316 ter c.p.”.
Ne deriva, che seppure di fatto esistono i presupposti per ottenere il beneficio, una dichiarazione attestante una consistenza patrimoniale diversa da quella reale perfeziona gli artefici e raggiri, in modo da indurre in errore la P.A., tenuto conto che l’ingiusto profitto è rappresentato dalla riscossione dell’emolumento.
Dott. Antonio Nese
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