La valutazione del giudice deve tener conto della “nascita”, dello “sviluppo” e della “morte” della misura cautelare
- Raffaele Vitolo
- 5 ago
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Il Tribunale di Salerno- sezione riesame- con la decisione del 29 luglio 2025 depositata il 30 luglio 2025, afferma che “il rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare deve essere assicurato non solo in fase genetica ma anche per tutto il tempo della sua durata, in un costante adeguamento della cautela al mutamento delle situazioni di fatto ad essa sottese.”
A seguito di rigetto di istanza di sostituzione di misura cautelare di custodia in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari, la difesa depositava appello, dopo che il dispositivo della sentenza di primo grado svoltosi con giudizio abbreviato, aveva escluso l’aggravante ostativa dell’ingente quantità ed aveva condannato l’imputato (dopo un anno di cautela) ad una pena di quattro anni ed undici mesi.
La difesa evidenziava che il Giudice di primo grado aveva escluso qualsiasi tipo di ostatività in sede di esecuzione con la conseguenza che il rigetto dell’istanza non operava una giusta valutazione in tema di bilanciamento tra l’estrema ratio della custodia in carcere con la pena irrogata in primo grado per quale il condannato può accedere tranquillamente alla detenzione domiciliare. In buona sostanza, il condannato era afflitto da una misura cautelare che comportava limitazioni più gravi di quelle che avrebbe causato l’esecuzione della pena, ribaltando e negando in concreto il principio di minor sacrificio e di proporzionalità.
La Corte costituzionale[1] ha dichiarato la illegittimità̀ dell’art. 656 comma 5 c.p.p. ove prevede che la sospensione dell’ordine di esecuzione avvenga in relazione alla condanna a tre anni e non a quattro, nella logica del possibile accesso alle misure alternative. Non essendo il legislatore intervenuto a correggere materialmente la disposizione che, per quanto è dato sapere, sembra rimanere invariata anche nella prossima riforma, si evidenzia un profilo di incostituzionalità̀, dell’art. 275 comma 2 bis c.p.p. ‘ove esclude l’applicabilità̀ della custodia cautelare in previsione di pena non superiore a tre anziché́ a quattro’. Il che evidenzia la necessità del coordinamento normativo se si ritiene necessaria una proporzionalità̀ di una misura coordinata ai mutamenti di sistema e applicata al condannato in primo grado con una sanzione che in fase esecutiva porterà a scontare la pena in detenzione domiciliare.
In buona sostanza, in fase cautelare (allo stato con una decisione di primo grado) il condannato era afflitto da una misura cautelare di estrema ratio, mentre in sede di esecuzione pena definitiva si troverà in detenzione domiciliare.
Dunque- in una ottica di proporzionalità giudiziale costituzionalmente orientata – la misura della custodia degli arresti domiciliari in fase sta – sic et simpliciter- alla detenzione domiciliare in fase esecutiva.
Infatti, in sede di istanza di sostituzione della misura veniva sottolineato che, per il condannato, vi era una sproporzione tra la misura preventiva in atto e quello che sarà la pena da eseguire.
Il Tribunale della “Libertà” nel provvedimento di accoglimento dell’appello cautelare ai sensi dell’art. 310 c.p.p., evidenzia che “nel bilanciamento di tali esigenze con l’attuale quadro indiziario e cautelare – che comunque alla luce della parziale conferma in primo grado e della gravità delle imputazioni, nonché del contesto criminoso di riferimento, persiste all’attualità, sebbene in misura minore per l’esclusione dell’aggravante originariamente contestata- si deve rilevare altresì che, anche alla luce dei precedenti penali di natura non allarmante (si tratta di due condanne per truffa), si può ritenere allo stato che il condannato sia in grado di autocontrollarsi, rispettando le prescrizioni imposte, nel più mite regime domiciliare, che appare comunque idoneo a prevenire il rischio di recidiva, correlato essenzialmente ai possibili contatti con il contesto criminale di riferimento.”
È evidente che in questa prospettiva il tempo trascorso in condizione di restrizione carceraria non può, in buona sostanza, essere un tempo del tutto “muto” per il giudice della cautela, dovendo questi interrogarsi su come quel tempo sia trascorso e sia stato vissuto dal soggetto in vinculis, seppure la detenzione cautelare non possa avere, ovviamente, alcuna vocazione di recupero sociale.
La cassazione aveva già avuto modo di rilevare come il fatto nuovo, capace di dar senso al decorso del tempo ai fini di una revisione del giudizio cautelare, ben può essere rintracciato nell’ambito del complessivo comportamento tenuto dall’interessato nella condizione di restrizione e in questa prospettiva atteggiarsi, al pari del fatto criminoso asseritamente commesso, come contesto oggettivo di proiezione del tratti della personalità rivelatore, in un giudizio unitariamente condotto, di una pericolosità che può anche rivelarsi scemata.[2]
La correzione, della rigidità dell’assunto dell’irrilevanza ex se del decorso del tempo si muove sulla falsariga di quanto stabilito dalle Sezioni Unite circa il rilievo che “il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e dell’adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale.”[3]
In conclusione, si rileva che anche se la custodia cautelare non deve essere considerata come un'anticipazione della pena, ma come una misura volta a garantire lo svolgimento del processo e la salvaguardia di determinati interessi, quali il pericolo di fuga, il pericolo di reiterazione del reato o il pericolo di inquinamento delle prove che può essere applicata solo nel caso in cui sussistano determinati pericoli per il procedimento penale[4] tra misura cautelare e pena non vi è completa impermeabilità.
Ne consegue che quando il Giudice di primo grado condanna come, nel caso di specie, escludendo l’aggravante dell’ingente quantità, e quindi, escludendo qualsiasi tipo di ostatività in sede di esecuzione, si evidenzia una necessaria rivalutazione della proporzionalità̀ in sede cautelare per adeguarla alle circostanze mutate nel corso del processo di merito.
***A cura dell'Avv. Raffaele Vitolo
[1] Corte costituzionale, sentenza n. 41, 2 marzo 2018, Presidente e Redattore Giorgio Lattanzi.
[2] Cass. Pen. Sez. 1, n. 24897 del 10.5.2013.
[3] SU, n. 16085 del 31/3/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324.
[4] Cass. Pen. Sez. II., n. 265/2010.


